I problemi di lavoro: disoccupazione, fallimenti, conflitti, mobbing. Il lavoro (dal latino labor: “fatica, sforzo”) è una componente importante della nostra identità. <Chi sei?>, <Cosa fai nella vita?>, sono le domande che più spesso ci capita di fare quando conosciamo per la prima volta qualcuno. Non è difficile, quindi, comprendere come le difficoltà che incontriamo nell’ambiente lavorativo possano ripercuotersi sul nostro funzionamento psico-fisico, andandone ad alterare gli equilibri e predisponendoci a tutta una serie di disagi e malattie psicosomatiche. Il lavoro comporta sudore e fatica, ma ci conferisce anche una dignità e uno status agli occhi della società, ci fa sentire ri-conosciuti.La Repubblica Italiana sancisce nell’articolo 1 della Costituzione questo diritto inalienabile, su cui fonda la sua stessa esistenza.
Quando si perde il lavoro, o non si trova, si è più soggetti a sviluppare patologie di tipo depressivo, proprio perché viene a mancare quel senso di integrità e riconoscimento sociale che garantisce un’attività remunerata. Negli ultimi mesi, complice la crisi economica, è aumentato il tasso di suicidio tra i piccoli imprenditori. Le vittime: gente cresciuta nella cultura dell’homo faber, della ricompensa alle proprie fatiche, della fiducia spropositata nelle capacità umane e nella ricchezza… Gente che non è riuscita, proprio perché non ha mai contemplato l’insuccesso, a gestire il fallimento della propria attività, con cui si era totalmente identificata. Per noi professionisti del sociale è importante, oltre ad essere un imperativo etico, riuscire a fornire un sostegno e degli interventi concreti per questa persone a rischio suicidario.
Altri disagi coinvolgono i rapporti con i colleghi e con i capi, la gestione delle incombenze, la divisione dei ruoli. Nell’esperienza di lavoro si mettono in gioco le proprie premesse personali, le problematiche connesse alla nostra identità e al valore che ci viene attribuito. Se l’autostima è bassa si cercherà di ottenere maggior consenso e approvazione, a volte facendo più di quanto venga richiesto o comporti il contratto lavorativo. Si innescherà un circolo vizioso, in cui più si fa e più è naturale che si faccia, generando nella persona un senso perenne di frustrazione. Altre volte ci si metterà in competizione con i colleghi, esacerbando invidie, ripicche, gelosie.
Non è facile trovare le strategie giuste per andare d’accordo, poiché ogni gruppo di lavoro ha le sue caratteristiche, storie, finalità. Per questa ragione riteniamo utile leggere le problematiche che ci vengono riportate in chiave sistemica, inserendole, cioè, nel contesto peculiare in cui si sono sviluppate. Spesso le difficoltà di relazione sono connesse alle difficoltà do comunicazione; è importante, quindi, affinare queste competenze e migliorare la propria assertività (essere cioè propositivi, ma non impositivi).
Da un punto di vista psicodinamico è invece utile lavorare sulla crisi di identità a cui spesso vanno incontro i lavoratori sofferenti. Si cerca di comprendere, analizzando la storia della persona, come e quando si siano innescate tali falle nell’IO e si cerca di fornire un supporto adeguato, affinché si riescano a contenere o ridurre.
Altre difficoltà lavorative sono legate ad una confusione di ruoli, per esempio, nelle attività a gestione familiare o nelle società tra amici o fidanzati. Gestire le dinamiche personali separatamente da quelle lavorative è un’impresa titanica; spesso si confondono e le discussioni nate in un ambiente si propagano immediatamente nell’altro. Chi vive queste esperienze non “stacca mai”, si porta il lavoro a casa e la casa al lavoro, generando uno stato cronico di frustrazione. In questa casi si rivela utile lavorare sull’intero gruppo familiare o di soci, in modo da elaborare insieme delle strategie efficaci per separare competenze, contesti e richieste.
Essere capaci di indossare molte maschere, in base ai ruoli che ricopriamo nella vita, è un traguardo fondamentale. Ogni maschera ha il suo momento d’azione, una volta tolta non può più esercitare la sua potestà, ma deve lasciare spazio ad un nuovo aspetto del Sé, altrettanto bisognoso di ascolto e gratificazione. Non si può indossare una maschera sopra l’altra, così come non si può assumere una maschera troppo lontana dalla propria conformazione fisica, si rischierebbe di sviluppare una sindrome di personalità multipla.
Che dire del fenomeno del mobbing (dall’inglese to mob: “accalcare, assalire”)? Violenze che ogni giorno vengono fatte subire e da cui non ci si può sottrarre, perché ribellarsi significherebbe perdere il lavoro o la posizione raggiunta. Non è facile trovare strategie efficaci per uscire da questi paradossi, poiché sono, per definizione, strade senza uscita. Le uniche risorse a cui appellarsi possono essere: la richiesta di un intervento super partes, in grado di valutare le dinamiche innescate, oppure l’uscita dalla situazione. Nei casi più lievi si può fare riferimento al proprio senso di responsabilità: non esiste, infatti, una vittima senza un carnefice, si può contribuire a creare la personalità del carnefice continuando a porsi come vittima. Ridefinire la relazione, smettere di attuare le stesse modalità difensive, potrebbe modificare, migliorare forse, la situazione.
Molte persone, invece, lamentano di passare la maggior parte del loro tempo a fare un lavoro che non amano e non le gratifica. Al giorno d’oggi è difficile consigliare di trovarsene un altro, ma darsi da fare, progettarsi nuovi scenari e muoversi concretamente per realizzarli, può essere un buon antidepressivo. Una strategia utile è investire la propria energia in attività extra-lavorative gratificanti, che vadano così a migliorare la qualità della vita, rompendo la pericolosa equazione “io sono il mio lavoro”.